Mentre ci prepariamo a celebrare la Giornata del Vermouth, il 21 marzo, desideriamo onorare non solo uno dei più incredibili ingredienti, ma una delle bevande in sé più incredibili d’ogni epoca, ripercorrendo la storia che ne ha reso possibile la creazione: una millenaria “partnership di gusto” fra vino, erbe e spezie. Il modo migliore per prepararsi a questo viaggio? Sedetevi, mettetevi comodi, ordinate un Manhattan o un Cocktail Martini, e godetevi la complessità dello straordinario bouquet che il Vermouth conferisce al vostro drink. Buon viaggio.
Fin dagli albori della civiltà, gli esseri umani hanno utilizzato erbe e spezie sia per le loro proprietà farmacologiche, sia per le loro proprietà aromatizzanti: rinomate e ricercate per una varietà d’applicazioni, inclusi rituali legati a religione e sepoltura, ma soprattutto per gli utilizzi medicinali, le spezie e gli altri ingredienti botanici hanno una lunga storia, dall’antica Cina (in cui un vino fortificato e infuso di erbe e radici era prodotto fin dal XIII° secolo a.C.), attraverso la Mesopotamia, l’Egitto, l’India, passando per la civiltà greca e quella romana.
Con il progredire della civiltà, l’uso delle specie botaniche divenne ancora più consistente e diffuso, particolarmente in ambito medicale. Ci sono tracce di vino infuso al cardamomo nell’antica Grecia, ma la prima popolazione a giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo di vini fortificati e aromatizzati con erbe e spezie furono gli antichi Romani, presso i quali il vino aveva un ruolo centrale, soprattutto nei lauti e frequenti banchetti. Prodotti come il vinum rosatum (vino bianco con miele e petali di rosa), o vino con petali di rosa e pepe nero, l’Ippocras (vino rosso con ambra, pepe nero, mandorle, muschio, prugne, zenzero, cannella, chiodi di garofano) o il Granum Paradisi (vino infuso con chiodi di garofano, miele, zenzero e cannella) sono solo alcuni esempi dell’incredibile varietà di vini speziati che venivano serviti in epoca romana.
Anche nel Medio Evo erbe e spezie venivano considerate soprattutto per le loro proprietà medicinali. Venivano coltivate nei monasteri, e le farmacie di tutta Europa utilizzavano spezie in abbondanza, sia locali che provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia, macerandole in vino fortificato per preparare rimedi farmaceutici. È questa la tradizione che col tempo avrebbe portato alla creazione del Vermouth: il “padre” storico di questa bevanda è il mercante Antonio Benedetto Carpano, che introdusse la prima versione nel 1786 a Torino. La sua ricotta si basava sul celebre vino bianco dolce Moscato d’Asti, in cui infuse almeno 30 diverse erbe e spezie. E di lì a poco, il Vermouth diventò un apprezzato e diffuso aperitivo alla corte reale di Torino, grazie alle proprietà “aperitive”, cioè in grado di stimolare l’appetito.
Ma perché si chiama Vermouth? L’origine più probabile del nome è la pronuncia francese della parola tedesca “Wermut”, che significa assenzio: è infatti uno degli ingredienti utilizzati nella formulazione del Vermouth. La popolarità del Vermouth crebbe così rapidamente, che ben presto attraversò le Alpi e raggiunse la Francia, dove nacque la versione dry di Noilly. Nei decenni che seguirono all’enorme successo commerciale del prodotto di Carpano, alter aziende iniziarono a produrre le loro versioni a Torino: Cinzano avviò la propria azienda nel 1816, e Martini & Rossi, oggi leader mondiale della produzione di Vermouth, iniziò la produzione nel 1863. E naturalmente ognuno di loro – così come ogni altro produttore di Vermouth al mondo – ha la propria ricotta e la propria miscela unica di erbe, corteccia e spezie.
C’è qualcosa, però, che la maggior parte delle persone ignora: aggiungere infuse di erbe e spezie al vino non è sufficiente per ottenere l’etichetta di “Vermouth”. Ci sono parametri specifici che un drink deve rispettare per poter essere definito “Vermouth”, almeno per la legislazione italiana: il contenuto in alcool, ad esempio, deve essere compreso fra 16% e 22%. Qualsiasi prodotto con una gradazione inferiore al 16% non può essere chiamato “Vermouth”, ed è solo un vino aromatizzato. Inoltre, i tre quarti della bevanda deve essere rappresentato da vino bianco con zucchero aggiunto, almeno per il 14% del volume totale. Ultimo requisito, ma non in ordine d’importanza, il bouquet botanico deve contenere estratti di artemisie – l’assenzio è solo una di esse.
Credete che il Vermouth sia per consumatori “anziani” e magari anche un po’ fuori moda? Ebbene, in questo caso c’è qualcosa che dovreste sapere: il Vermouth ha rivoluzionato l’arte della mixologia quando si diffuse a livello globale verso la fine del decennio del 1880, e i drink ricchi di Vermouth dell’epoca – come i prototipi del Martini Cocktail o del Manhattan, che all’epoca avevano due parti di Vermouth per ogni parte di gin o whisky – permisero all’arte dei cocktail di raggiungere un nuovo livello di sofisticazione.
Il Vermouth per noi di AromataGroup
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